La Materia dei Sogni

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Stefano camminava pensieroso in via Carlo Alberto. Rimuginava sulla sua vita in città. Aveva appena attraversato la piazza, bloccata parzialmente dal traffico e tuttavia così tetra, coi suoi giovinastri sparuti, forse drogati, che si illudevano di star seduti sotto il monumento di Piccadilly Circus, anziché in quella piazza savoiarda. Tutto: i terrapieni coperti di erba coltivata su cui si inseguivano alcuni bambini vocianti, le severe facciate risorgimentali, quei portici con i banchetti di libri usati, l'odore di orina, tutto incuteva tristezza. Quel centro storico si stava ormai sgretolando; abitato da immigrati di ogni provenienza negli edifici più degradati, mentre nei palazzi restaurati si erano stabiliti ricchi antiquari e professionisti amanti del barocco piemontese.
Facendosi largo fra le tante persone grige e sfuggenti in quell'ora serale, Stefano pensava che non ce l'avrebbe mai fatta. Da sette anni studiava alla facoltà di farmacia, per seguire le orme paterne e rilevare un giorno l'avviato commercio di famiglia in quel paese del pinerolese.
Già immaginava il suo futuro nella puzza dei prodotti chimici, sepolto fra ricette di mutuati, circondato da vetusti barattoli e da quegli immensi scaffali a vetri, scuri e tronfi, da cui già suo nonno distribuiva pozioni, e presso i quali suo padre aveva trascorso gran parte della sua esistenza. E lui era nato col marchio di quella predestinazione.
Ereditare il nobile mestiere degli avi ed arricchire ulteriormente di oggetti di valore l'antica e spaziosa magione di famiglia, già colma di mobili pregiati e quadri dell'ottocento. Ampliare il podere, acquistare altri pezzi di bosco. Questo era il suo ineluttabile compito.
Solo quella laurea che tanto stentava ad arrivare avrebbe soddisfatto le aspirazioni dei suoi. Queste sarebbero state completamente appagate se egli avesse anche sposato la prosperosa figlia del medico condotto locale.
Stefano cominciò a provare una nausea profonda. Il tanfo delle macchine, il rumore dei motori, lo sferragliare dei tram, lo inebetivano.
"Perché comprarmi l'appartamento proprio in questa via squallida e crollante anziché in collina? - si domandava - Certo, secondo loro un appartamento centrale è un buon investimento e si rivende meglio".
Lui aveva bisogno di verde, di natura e loro, agli inferi lo avevano cacciato. Aveva già superato i grandi magazzini più in voga. Quell'insopportabile monumento al consumismo, dove lui non poteva entrare perché soffriva di claustrofobia. E poi, come scegliere fra migliaia di camicie appese o esposte su manichini, talmente numerose e simili fra loro da confondere le idee? Meglio quelle piccole mercerie di montagna, con poche camicie scozzesi o a righe, magari senza colletto, da cui lui usciva con quell'aspetto da contadino che lo contraddistingueva e che lui accentuava camminando rozzamente, come se si fosse trovato su una scarpata a tremila metri di altezza.

Andreina Bert, Fuga ecologica (La Materia dei Sogni)

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