L’angelo
di pietra - di Carla Lastoria
Questa
è la storia di Groombridge e del suo angelo di pietra.
Groombridge
era uno dei tanti villaggi immersi nel cuore dell’Irlanda.
Il piccolo ponte di pietra che ne segnava l’ingresso era in
origine sormontato da due angeli, anch’essi in pietra, posti
alle estremità dei due lati e rivolti verso chi si
apprestava ad entrare, quasi a dare il benvenuto.
Uno
dei due angeli, però, fu distrutto molti anni addietro,
quando Groombridge non si chiamava ancora così.
Più
di una volta gli abitanti del villaggio avevano attribuito a
quell’angelo “sopravvissuto” il merito di averli protetti, o
di aver esaudito i loro desideri, regalando loro pace e
tranquillità. Per questo veniva considerato da tutti come un
simbolo, una specie di dio da rispettare, capace di
scacciare tutte le influenze negative; una sorta di custode
del villaggio.
Da
qui il nome di Groombridge: ponte sul villaggio custodito.
Nemmeno
quel libro la soddisfava, le risposte che tanto cercava non
erano neanche lì. Nonostante si affannasse nel cercarle, non
riusciva a trovarle da nessuna parte.
Si
chiese per quanto tempo ancora le sue domande sarebbero
rimaste senza risposta. Era come trovarsi nel centro di una
vallata e urlare qualcosa al vento, contro le montagne, ed
ottenere solo l’eco della propria voce come risposta. Quante
volte da bambina aveva provato a parlare con le montagne
sperando che qualcuno rispondesse, ma niente, ogni volta era
sempre e solo la sua voce che tornava indietro. La
sensazione che provava era simile a quella provata da
bambina su quelle montagne.
Appoggiò
il libro sulle ginocchia piegate e alzò lo sguardo; le gocce
di pioggia scivolavano lente sul vetro e scendevano da un
cielo pesante che copriva totalmente quasi tutte le colline
circostanti. Lontano, sul mare che si andava riempiendo
sempre più, i gabbiani cercavano disperatamente di ripararsi
dal temporale che di lì a poco sarebbe scoppiato,
squarciando il cielo con tutta la sua incontenibile forza.
L’unica
cosa che le nuvole lasciavano ancora intravedere erano il
ponte ed il suo piccolo angelo.
Niky
aveva terminato l’ennesimo libro e se ne stava seduta sul
davanzale interno della finestra di camera sua.
Il
viso, perfettamente ovale, era contornato da una folta
chioma di morbidi capelli, leggermente mossi, del colore del
rame e che Niky era solita raccogliere dietro la nuca. La
pelle chiarissima del viso, invece, metteva in risalto il
blu intenso dei suoi grandi occhi, leggermente incurvati
verso il basso; mentre il naso, piccolo e rivolto verso
l’alto, era strettamente collegato ad ogni singolo movimento
delle labbra.
A
prima vista Niky sembrava una di quelle bambole di
porcellana, fragili e delicate; in realtà il suo carattere
non rispecchiava affatto il suo aspetto fisico. Era la
maggiore di tre fratelli e viveva ancora insieme alla sua
famiglia. La sua era una vita felice, come tante altre.
C’erano i suoi genitori, che nel crescerla avevano cercato
di trasmetterle tutto quell’amore che li aveva spinti a
generarla; c’erano i suoi fratelli, Will e Doug, che non si
curavano altro che dei loro giochi, ma che insieme
costituivano l’allegria della casa; c’era Ginger, la gatta
dal pelo fulvo, pigra e sorniona; c’erano la sua pittura, i
suoi libri, e poi c’era quello che lei definiva il suo
“scopo”, ciò per cui era nata, il suo unico futuro.
C’erano
quelle domande e la voglia di trovar loro delle
risposte. Ma sapeva che non era facile e spesso la sfiducia
la spingeva a credere che non le avrebbe trovate mai, o
almeno non lì.
Invece,
quel giorno qualcosa di strano accadde proprio a
Groombridge.
La
pioggia le era sempre piaciuta, forse perché, quando era
bambina, sua Nonna le raccontava che quelle gocce non erano
nient’altro che le lacrime degli angeli cadute a terra per
purificare le anime degli uomini.
Gli
angeli, che strane creature che erano! Dipinti sempre come
candidi fanciulli biondi, con grandi ali bianche e dall’aria
solenne, o come piccoli e paffuti bimbi allegri e
spensierati, che volavano in quel cielo che gli uomini non
riescono a vedere. Chissà se esistevano davvero e chissà se
erano realmente così.
Mentre
tutti questi pensieri le frullavano in testa, il cielo si
fece più scuro e lei si accorse di avere lo sguardo fisso
sull’angelo di pietra del ponte.
All’improvviso
il rombo di un tuono irruppe nel silenzio dell’atmosfera,
annunciando l’inizio del temporale. Nello stesso istante una
forte luce arancione avvolse completamente l’angelo di
pietra.
Qualcosa
gli disse che era arrivato il momento.
Sentì
le prime gocce di pioggia bagnargli il viso; toccò l’acqua,
sentì la sua freschezza; poi la terra, sentì l’odore di
umido che emanava a contatto con la pioggia; guardò i suoi
piedi nudi calpestare la strada, poi l’erba, gli alberi, il
cielo, le montagne, ed infine si guardò le mani, le toccò:
lui vedeva tutto realmente.
Sì,
quello doveva proprio essere il suo momento.
Tutti
gli angeli vengono inviati, almeno una volta, sulla terra
per aiutare qualcuno a credere, e quel giorno il buon Dio
aveva scelto proprio lui. Così, l’angelo di Groombridge si
ritrovò solo e bagnato davanti a quel ponte, cercando di
capire chi doveva aiutare.
Tutto
emozionato per quel gran giorno, l’angelo cercò di volare,
ma ebbe subito una sgradita sorpresa: scoprì che le sue ali
erano scomparse. Si toccò la schiena ma...niente. Si girò da
una parte, poi dall’altra...niente. Si rigirò, e non sapendo
dove andare, fece un passo prima in una direzione, poi
nell’altra. La strada era bagnata e cominciava a far freddo,
troppo per le sue abitudini.
Mentre
si incamminava, timoroso e con il naso per aria, inciampò e
cadde, scivolando con la faccia a terra, e lì il dolore fu
reale.
Cominciò
a lamentarsi, come suo solito; in paradiso era infatti
conosciuto come l’angelo più petulante e sbadato del cielo.
Passata
la prima emozione, infatti, l’angelo si fece prendere dallo
sconforto.
“Buon
Dio, non ero ancora pronto, la terra non è che mi ispiri
poi molto, c’é troppo traffico e le persone parlano ancora
lingue troppo diverse fra loro, lingue che io non conosco
e non capisco. E poi hanno ancora bisogno della voce per
parlare...” pensò.
Già,
la voce, se era sulla terra allora anche lui doveva avere
una voce, così decise di provarla subito: “Oh buon Dio
come farò?” disse. Non avendola mai sentita e non
sapendo quanto forte parlassero gli uomini, gli sembrava che
così andasse bene, in realtà stava urlando.
“Come
farò a trovare la persona che devo aiutare, non ho nemmeno
le mie ali” disse continuando a gridare e andando a
sbattere contro un palo. Camminare non era poi così facile
per uno abituato a volare.
Proprio
in quel momento il vento che si era alzato lo avvolse in un
freddo abbraccio, portandogli i pensieri rinchiusi nel cuore
di Niky. Lo stupore provato poco tempo prima nel vedere
quella strana luce, le sue domande, il suo credo distrutto
da anni di attesa contro la speranza che ancora le accendeva
l’anima...e lui allora capì. Mentre le leggeva il cuore,
capì che era lei la persona che doveva cercare. Ora il vento
e quei pensieri l’avrebbero guidato.
Un
altro tuono risvegliò Niky, riportandola alla dimensione
reale. Non capiva cosa le stesse accadendo, le sembrava che
avesse parlato con qualcuno, ma senza pronunciare una
parola.
“Non
è possibile” disse fra sé “Gloria ha ragione a dire
che sto superando ogni limite con questa storia di trovare
delle risposte a tutti i costi. Forse mi sto complicando la
vita senza una ragione e finirò col diventare matta davvero”
continuò.
Così,
senza pensarci due volte, e ancora sconvolta per quello che
aveva visto e a cui non voleva credere, preferendo
pensare che si trattasse semplicemente di un forte lampo, si
mise a liberare gli scaffali da tutti quei libri che
riteneva essere responsabili dello stato confusionale in cui
era caduta nell’ultimo periodo e che ora le stava
addirittura procurando le allucinazioni.
Mentre
lo faceva, un libro rotolò per terra aprendosi ad una pagina
a caso. Niky lo raccolse e nel rigirarlo non riuscì a
trattenersi dal leggere una frase.
Il
libro era “Il Gabbiano Jonathan Livingston”, il suo
preferito, e la pagina era la 102.
Così
lesse le parole da lei sottolineate la seconda volta che
l’aveva letto: “...povero Fletch, non dar retta ai tuoi
occhi, e non credere a quello che vedi. Gli occhi vedono
solo ciò che è limitato...”.
Richiuse
il libro, non era di certo allontanando quei libri che
avrebbe allontanato anche quei pensieri da sé, pensò.
Confusa
e sconsolata, si lasciò cadere sul letto, dove rimase con
gli occhi fissi al soffitto per qualche minuto, incapace di
fare o pensare a qualsiasi cosa.
All’improvviso,
il profondo silenzio che l’avvolgeva le ricordò che era da
sola in casa. Nemmeno un miagolio di Ginger, possibile?
Eppure, Ginger era solita lamentarsi in un giorno come
quello, visto che odiava profondamente la pioggia.
Niky
cominciò a chiamarla: “Ginger...Ginger dove sei?”
Niente.
“Quella
stupida gatta non sarà mica uscita?” disse.
Senza
pensarci due volte si infilò il suo giubbotto e corse verso
la porta. L’aprì.
“Ciao
Niky!” urlò quel ragazzino che le stava davanti con in
braccio la sua gatta.
Niky
fece un balzo all’indietro sgranando gli occhi; aveva
davanti un bambino sui dieci anni, che indossava
semplicemente una maglietta color blu e di molte taglie più
grande della sua, tanto da arrivargli alle caviglie.
I
piedi, poi, erano scalzi e lui era tutto bagnato.
Ginger
che, con il suo carattere diffidente era solita non farsi
nemmeno toccare dagli estranei, ora se ne stava tranquilla e
pacifica in braccio a quello strano bambino. Forse era un
amico di Will o di Doug; eppure, lei li conosceva
tutti, ma lui, proprio non l’aveva mai visto.
Senza
nemmeno aprir bocca, Niky gli fece segno di entrare.
L’angelo lasciò Ginger, che subito si diresse verso la sua
cuccia, mentre lui s’incamminò verso il fuoco che ardeva nel
camino, attirato da una luce così simile a quella che si
trovava nel mondo da cui proveniva.
Niky
annusò l’aria, dal momento in cui quello strano bambino era
entrato, si era diffuso subito un dolce profumo di cananga.
“Chi
sei?” Chiese Niky al suo strano ospite.
“Oh
beh...io sono...sì ecco...io proprio...” urlò l’angelo non
sapendo da dove iniziare, e il viso gli si colorò di rosso
per la timidezza. Era la prima volta che si trovava sulla
terra, la prima volta che guardava una di quelle creature
negli occhi, e quelli di Niky erano così belli, blu come il
colore delle lune del suo cielo.
“Sì,
voglio dire...come ti chiami? Sei un amico di Will oppure di
Doug?” chiese continuando a mantenere lo sguardo fisso sul
suo ospite, che intanto, nel vano tentativo di sedersi sul
divano, era ruzzolato a terra rimanendo intrappolato nel
telo che lo ricopriva e che ora si era anche sporcato di
fango.
Di
fronte a quella scena, un sorriso canzonatorio rischiarò il
volto cupo di Niky.
Una
volta riuscito a tirar di nuovo fuori la testa, l’angelo
tentò di risponderle. Già, ma come si chiamava?
“Gli
angeli da noi non hanno nomi, si riconoscono dal profumo”
pensò.
Si
alzò in piedi per andare verso Niky, che seguiva ora ogni
suo singolo movimento, le prese la mano e cominciò a
parlarle.
“Niky
io conosco Will e Doug... ma non sono un loro amico, io
sono... sono un...” si fermò bruscamente perché si accorse
che ora Niky stava ridendo divertita.
“...Oddio...scusa
ma sei così buffo...mi spieghi perché urli tanto? Io sono
qui e ci sento benissimo” spiegò Niky continuando a ridere.
Ecco,
come spesso succedeva nel suo mondo, anche lì nessuno lo
prendeva sul serio; quella ragazza stava ridendo di lui e se
il suo Dio lo stava guardando, cosa molto probabile, forse
stava ridendo anche lui.
E
lui che sperava che questa sarebbe stata la buona occasione
per dimostrare a tutti che non era solo un angelo timido,
impacciato e sbadato.
“Oh...
Niky, non rendermi tutto più complicato di quanto non lo sia
già...” disse l’angelo “... io è la prima volta che uso la
voce, in genere sono i miei pensieri a parlare, non so
camminare io... so volare, io... sono un Angelo e sono qua
per te.
Quella
luce che hai visto prima ero io, finalmente è arrivato il
mio momento, io sono l’angelo che per tanto tempo è rimasto
chiuso dentro la pietra di quel ponte” disse.
Ora
che gli era più vicina Niky sentiva ancora più forte il
profumo di cananga. Si alzò di scatto e andò vicino alla
finestra.
L’angelo
di pietra sul ponte non c’era più.
Niky
tornò verso l’angelo, gli carezzò una guancia, gli toccò i
capelli, infilando dolcemente le dita in quei riccioli
morbidi, ancora bagnati.
“Sei
proprio tu” disse guardandolo fisso negli occhi e
riconoscendo quelli della statua di pietra, di cui più volte
aveva invocato l’aiuto.
“Sì
Niky...sono qua” rispose l’angelo prendendole una mano, ora
che Niky aveva cominciato a tremare.
“Ho
aspettato tanto tempo ed ora...” disse Niky sconcertata e
ancora sconvolta.
“Lo
so, conosco i tuoi pensieri e le domande che ti assillano,
ora sono qui per risponderti e perché tu possa continuare a
credere. Coraggio allora, io posso fare ciò che vuoi, quello
che più desideri” la esortò l’angelo.
Niky
sapeva che non tutti avrebbero approvato, molti al suo posto
avrebbero chiesto altre cose, ma lei sapeva già cosa voleva.
Niky non chiedeva amore per sé, né gioia o felicità, e
nemmeno fortuna per il difficile lavoro che si era scelta,
quello di artista. Niky chiedeva solo di sapere. Chi era,
perché era nata proprio in quella famiglia, che significato
avevano per lei tutte le persone incontrate e conosciute
finora, quale era il suo scopo in questa vita?
Questo
era ciò che voleva sapere.
“Dimmi
angelo... aiutami a capire: la vita finora mi ha regalato
tante cose, ma mi manca quella più importante, mi manca
sapere il perché di tutto questo, aiutami a vivere angelo,
aiutami a trovare il senso in questa vita. Ci deve essere
qualcosa di più che il semplice esistere, così... forse
troverò la pace...”.
Senza
più riuscire a contenersi Niky scoppiò a piangere. Quei
discorsi erano rimasti per troppo tempo nascosti nel suo
cuore, senza trovare chi era disposto realmente ad
ascoltarli, ed ora aveva trovato addirittura un angelo. Lui
l’avrebbe ascoltata, l’avrebbe capita, le avrebbe spiegato
ogni cosa.
Niky
appoggiò piano la testa sulla mano stretta in quella
dell’angelo, che le sfiorò i capelli con un bacio,
aspettando che le lacrime si arrestassero.
Quando
Niky riuscì a calmarsi, l’angelo la invitò a seguirlo. La
portò davanti alla libreria che si trovava nel soggiorno e
qui si fermò.
“Prendi
un libro Niky” le disse, e Niky si affrettò a seguire la sua
indicazione.
“Guarda
quante pagine devi leggere. Ti sembra inutile leggerle tutte
prima di arrivare alla sua fine? Eppure solo così potrai
capirne il senso. Non si può iniziare una storia dalla fine
Niky, così come non si può vivere conoscendo già la vita. Lo
scopo della vita è solo vivere” disse l’angelo.
“Niky
non devi aver paura di vivere una vita banale e priva di
senso, nessuna vita lo è mai; anche se non ti sembra di fare
grandi cose, ricorda che ogni piccolo gesto, ogni
piccola cosa racchiude il suo significato.
Tu
sei una persona speciale, perché hai capito che esiste uno
scopo nella vita, che va oltre la vita stessa; ci sono
persone che invece non lo sanno, aiutale a capirlo, come
oggi hai aiutato me a tornare nel mio cielo permettendomi di
compiere la missione per cui il buon Dio mi ha inviato qui.
Credi Niky, continua a credere nella vita e prima o poi
tutto ciò che adesso non riesci ancora a capire ti sarà
rivelato”.
Mentre
pronunciava queste parole, continuando a gridarle (non aveva
ancora imparato a calibrare la voce, lui che non l’aveva mai
usata), il cuore di Niky tornò di nuovo ad aprirsi, si sentì
invadere dal profumo di cananga e dalla luce che aveva visto
qualche istante prima. Il bagliore fu talmente forte che
Niky dovette chiudere gli occhi per non restare abbagliata.
Quando
li riaprì si ritrovò stesa sul divano, la testa le doleva e
gli occhi erano gonfi. Pensò che doveva essersi
addormentata, eppure stava facendo qualcosa, sì, ma cosa?
Forse stava cercando qualcuno, sì ecco, ora ricordava: stava
cercando Ginger, già Ginger. Che fine aveva fatto? Proprio
non riusciva a ricordare.
“Ginger!”
urlò, e subito la gatta che stava sonnecchiando beatamente
nella cuccia uscì per andarle incontro. Che strano, si
ricordava che era sparita... forse però era stato solo un
sogno, d’altronde doveva aver dormito per quasi due ore...
eppure le sembrava che avesse incontrato qualcuno, sì,
qualcuno di strano... ma forse, sì, doveva aver sognato.
La
mattina dopo Niky aprì gli occhi. Si sentiva una stupida,
eppure era felice, come se avesse incontrato un angelo, si
disse, felice di essersi svegliata, felice di avere una
famiglia, felice di vivere.
Niky
si affacciò, e come sempre rivolse lo sguardo all’angelo di
pietra... per un momento l’immagine di un bambino vestito
solo con una lunga maglietta occupò la sua mente. Stava per
ricordare, poi il profumo del dolce che sua madre stava
preparando la distolse da quel pensiero.
Era
la vigilia di Natale.
Carla
Lastoria