Sull’Ile
d’Antas regna un’atmosfera surreale, un po’ inquietante, che
provoca strane sensazioni a coloro che vi approdano. La notevole bellezza della sua natura, che vive in una dimensione al di fuori dello scorrere di tempo e stagioni, non ne renderebbe azzardata la definizione di “paradiso terrestre”, ma per Werner, precettore della nipote del conte d’Antas, quel paesaggio sarà invece lo scenario di un lungo incubo dal sapore gotico, un inferno che, paradossalmente, egli stesso si è cercato. Quegli impulsi carnali ai quali non ha mai saputo resistere prenderanno il sopravvento su di lui annientando la sua volontà e, come mai avrebbe potuto immaginare, lo renderanno succube di un’entità diabolica perversa e spietata; la sua ricerca del piacere lo porterà a conoscere, invece, la sofferenza causata dalla perdita degli affetti più cari. Ma cosa può aver commesso quel giovane e stimato precettore per meritarsi tutto questo, qual è stato il peccato che proprio quelle pulsioni, adesso strumento delle sue “torture”", lo avevano spinto a compiere in passato? |
“...
C’è una vena tutta mitteleuropea nella costruzione dei
luoghi, nella descrizione dei dettagli. Dettagli che hanno
ruolo di protagonisti di un mondo parallelo, quello degli
oggetti d’affezione, che assistono muti alle vicende. Il
personaggio principale, con il suo continuo ed ossessivo
monologo metafisico, se non è certo una persona realistica,
non ha neanche la statura di un personaggio romanzesco. “Werner?
Un uomo comune”, dice l’autrice, “uno come tanti, un
mediocre... ambizioso, pieno di debolezze. Ciò che spaventa,
della vicenda, è che quanto accade a Werner (che in fondo non
ha nessuna grave “colpa”") potrebbe accadere a chiunque,
chiunque potrebbe essere scelto e chiamato”. Per questo Werner
è un predestinato. Perché non riesce ad essere protagonista
della sua stessa esistenza. Del protagonista gli manca la
caratteristica principale: la soggettività, la capacità di
essere centro interiore di azione, di sentimento, di volontà
di autenticità. Al contrario, è un non-io, un recitante
fornito solo della sua realtà esteriore. Viene perfino
sfiorato dall’idea di abbandonare il gioco, e se non lo fa è
soltanto perché non sa come partire né dove andare. Un uomo
comune, appunto. Troppo comune. Ma ci sono molti altri indizi
che svelano la narratrice di razza. Tracce di gotico, una
sensibilità quasi viscontiana non tanto verso la solita
cristalleria o le tovaglie di pizzo di Fiandra quanto verso i
suoni, i sapori, gli odori, e una fluidità narrativa che fa
tornare alla mente le estatiche trance dei tardi quartetti
beethoveniani. L’accostamento al “Faust” di Goethe è fin
troppo facile. In questo romanzo gioca un ruolo dominante l’invenzione
nel rendere imprevedibile l’esito finale per virtù della
meschinità e della pochezza umana. L’ultimo indizio da notare
è la capacità di utilizzare a mo’ di punteggiatura, in vari
passaggi del libro, il linguaggio d’oggi. Il contrasto che ne
nasce, con la caratterizzazione temporale impostata
inizialmente, accentua la sensazione di un “limbo” in cui si
muovono i personaggi. Un luogo senza luogo. Un tempo senza
tempo. È questa L’Ile d’Antas.”
dalla prefazione di Bruno Ballardini |
Dalla
sezione Recensioni/Reviews de La Pergamena Virtuale, settembre
1996 Sia da una prima lettura euristica, che da una lettura ermeneutica, si ha l’impressione di leggere un romanzo gotico a tutti gli effetti. E’ incredibile infatti come ne “L’Ile d’Antas” siano presenti proprio tutti, o quasi, i topoi del “Gothic romance”: il castello infestato da spettri, i sotterranei, spazi chiusi con funzione reclusiva e con valenze disforiche; il labirinto, altro locus communis e metafora di un viaggio agli inferi; la foresta, luogo carico di implicazioni simboliche, archetipo della natura selvaggia, dell’ignoto orientato verso il sublime. Quanto al viaggio, esso è talmente intrinsecamente legato a questo genere letterario, quale occasione di distacco dai luoghi conosciuti e possibilità d’accesso a luoghi fantastici, da rappresentare addirittura l’asse portante della fabula gotica. Evidente è infine il faustismo dei personaggi, di Werner in particolare, che abbandonandosi ’erotismo onanistico prima, alle carezze lascive di Desirée poi, stereotipo di donna fatale e demoniaca di tanta letteratura romantica, stipula, inesorabilmente, il proprio patto col Diavolo. Il soprannaturale, calato all’interno delle strutture narrative, ne condiziona visibilmente, non solo le tematiche, ma anche la sintassi e la dimensione spazio-temporale. Frequente l’uso di analessi e prolessi che creano suspense, e, per quanto riguarda le categorie lessicali, delle isotopie afferenti al macabro e all’orrido. Caratterizzano, inoltre, il romanzo una spazialità allegorica e simbolica, nonché un’atmosfera onirica che diventa poietica, in quanto sviluppa energia creativa. All’autrice
dunque, l’indiscutibile merito d’esser riuscita nel difficile
compito di rielaborare in maniera originale tematiche e
stereotipi di un genere letterario fin troppo abusato in
passato.
Da
Fiorisce un Cenacolo, gennaio-marzo 2006 |
Maurizio
Maggioni - Tra magia e satanismo (Edizioni Il Foglio, 2003) Libro difficile perfino da ritenere possibile. Per questo certamente raro, anomalo, tra l’altro scritto con un ritmo incalzante e magicamente misterioso, forse per via dell’abitudine alla scrittura dell’autore, che è un professionista della penna, forse a causa della sequela di nomi di Entità più o meno negative, ma anche suggestive, che intarsia le pagine in un vortice che trottola il lettore e lo fa scivolare in un coriandolìo dove è stranamente facile perdersi, per poi ritrovarsi un attimo dopo. Lo studio scientifico proposto è quello inerente il voodoo haitiano, sia tradizionale che moderno. Maggioni passa in rassegna l?opera di Lovecraft, Crowley, Bertiaux e Grant, per operare poi una critica serrata al Satanismo. Più in particolare, la scaletta del volume è ben sintetizzata da Dargys Ciberio Torreguitart nella sua prefazione: “Ispirato da narratori come H. P. Lovecraft, Edgar Allan Poe, Téophile Gautier, Pierre Benoit e Marina Joffreau, l’autore scopre il satanismo già presente nella cultura haitiana in spiriti come Oggun, Lucifer, Marinette Pied — Chèche e Baca. La sua analisi ci porta tra i balli misteriosi che vengono dall’Africa e rinverdiscono nelle Antille un’antica tradizione. Attraverso un cammino personale di conoscenza e conversione l’autore ci conduce in un viaggio fantastico tra stregoni, maghi del caos, satanisti, cabalisti e personaggi da “Manoscritto ritrovato a Saragozza” di Jan Potocki. Il saggio è strutturato in otto capitoli. Nel primo si affronta il problema dell’albero della vita nell’ottica voodoo e degli spiriti della morte. Nel secondo troviamo una ricerca accurata sullo zombismo, sugli incubi e succubi e sul culto del ragno. Nel terzo si descrivono il sesso sacro e i riti demoniaci sabbatici. Nel quarto, quinto e sesto si analizza la filosofia del Tempio di Set, mentre nel settimo troviamo il mito di Atlantide e la sua decadenza. Infine nel capitolo ottavo si parla del soccorso della Madonna e della condanna da parte della Chiesa Cattolica dei culti satanisti e africani”. Qualificanti risultano le note a pie’ pagina, utili anche per prendere coscienza dell’effettiva esistenza di un mondo parallelo, fatto anche di tanta superstizione. Quale, in definitiva, la lezione da trarre da Tra magia e satanismo? Direi questa: “Nel cercare l’aiuto del Demonio, Agios o Satanas, Agios o Baphomet, si entra in un piano sovrannaturale diabolico le cui conseguenze sono sempre negative anche se appaiono favorevoli all’inizio, perché finiscono sempre male”. Ed ancora: “Gli esseri viventi transitano in modo parassitario nel mondo della materia giusto il tempo di costruirsi un proprio corpo di luce o di tenebre, per condensazione progressiva nel tempo di pensieri positivi o negativi”. Ed infine: “Le energie demoniache sono energie libertine presenti nella mente umana che, per stimolo conoscitivo, crea le scienze, le materie di studio che hanno dimensioni e riscontri conducendo l’essere umano a distaccarsi da Dio”. Un libro unico: su questo non ci piove. Fa anche un po’ paura, ma anche in ciò sta il suo fascino. Fernando Bassoli (Da
Lamette: Recensioni, mercoledì 17 dicembre 2003) La
possessione diabolica nell’Ile d’Antas |
Che
cos’è in fondo un uomo se non la rappresentazione carnale, viva
e pulsante di tutto ciò che ancora è mistero della natura? Natura intesa come sessualità, di quegl’intimi e inconfessabili desideri che con velata perplessità affioreranno da quel limbo d’insospettabile condotta cui l’uomo si troverà inevitabilmente a rivelare. Mistero e natura, desiderio e ricerca, un gioco a rincorrersi, un ciclo vizioso di provocazione e inibizione, di sfida e di condanna dove quest’essere, soltanto all’apparenza fedele alle sacrali imposizioni del “dovere”, si troverà a infrangere con lasciva immoralità rivelandosi in tutta la sua paradossale tragicità. Ed è così che nessuna incorrotta volontà potrà reprimere il susseguirsi degli eventi predestinati. Eventi straordinariamente narrati con sottile e pittorica descrizione nello splendido romanzo “L’Ile D’Antas”. L’affascinante e intrigante atmosfera che circonda il giovane protagonista Werner è un susseguirsi e avvicendarsi di virtualità onirica e realtà circostante, svelata con astuzia e maliziosa provocazione e capace d’esaltare a tratti gli stereotipi delle debolezze umane. Werner non è che un esempio di quell’apparente presunzione dell’uomo comune, dell’esaltazione eccessiva di quei valori di fermezza e rigore, d’integrità morale a cui è stato indottrinato. La sua convinzione è solo apparenza, e dove Werner credeva celarsi in sé la forza necessaria per vincere le tentazioni, scoprirà in seguito tutta la sua miserevole impotenza. Ed è così che dapprima con consapevole perplessità e in seguito con febbrile ricerca, nulla potrà contrapporre il giovane Werner all’indomabile sensualità che gradualmente lo investirà sin dall’inizio del suo viaggio. Presagi onirici, reali o irreali di quella seduzione che giungerà a coglierlo nell’incertezza di una realtà sin troppo attendibile, oppure nella vaghezza d’incubi notturni che altro non sono che la rivelazione impura dei suoi più reconditi desideri. La sua spregiudicata giovinezza lo induce a continuare e ormai giunto sull’il gioco ostinato e crudele delle tentazioni avrà il suo tragico risvolto e lo sorprenderà in tutta la sua disarmante autorevolezza. Werner verrà soggiogato dalla conturbante sensualità, così intensa e pura sprigionatasi da quel corpo di donna “stranamente bello, capace di procurargli sensazioni che solamente poco tempo prima gli erano parse inconfessabili, in tutte le maniere che si potevano immaginare, attraverso tutti gli eccessi possibili...” Nessun desiderio diventa ossessionante quanto la consapevolezza di non poterlo raggiungere, ma la splendida Désirée non è irraggiungibile e il veto di ubbidienza che lega il precettore Werner al suo impegno è una costrizione che egli stesso si trova consapevolmente a infrangere pur di porre fine ad un tormento capace di ottenebrare ogni sua più razionale volontà. La giostra d’atmosfera che circonda quei due esseri solitari in un luogo senza tempo, in un tempo scandito dalla loro stessa passione, è il preludio alle tentazioni a cui inevitabilmente si renderanno complici. Werner assaporerà, godrà dei piaceri più smodati annullando ogni volta una parte di sé, di quella falsa moralità a cui, disposti o riluttanti, chiunque nella sua più intima verità, sa di potere facilmente mentire. Ormai privo d’ogni dignità e difesa Werner lambirà il fondo della sua immoralità, in uno sconvolgente turbinio di odio e passione con l’avvenente conte d’Antas, che “assumendo improvvisamente le sembianze di una donna giovane e bella, lui, l’assisteva, e fra tenere carezze e mille altri squisiti e ricercati piaceri...” Werner diverrà finalmente conscio della sua errabonda meschinità. E come sempre accade, il castigo finale sarà la lenta e dolorosa ricerca di se stesso. Morena Beltrami |
Il
romanzo di Marina Joffreau “L’ile d’Antas” coinvolge il
lettore e lo costringe ad arrivare fino all’ultima riga senza
mai prender fiato. L’esperienza umana, simile a quella del “Peer Gynt” di Ibsen, attraverso il male o la concupiscenza, appare sotto tutte le sue forme. La bimba tredicenne sedotta, la fidanzata abbandonata, l’allieva resa madre, e il conte, padrone dell’isola e dell’animo del giovane Werner, fanno appello ad una simbologia quasi fiabesca, malgrado i contenuti trasgressivi. Il passaggio del tempo, come ne “La regina delle nevi” di Andersen, che dall’inizio alla fine della storia avviene così rapidamente da far tornare il giovane a casa ormai vecchio, ricorda il percorso dei bimbi della fiaba , che si ritrovano adulti, quasi magicamente, al termine del viaggio. Il volto di Werner che invecchia prematuramente per avere ceduto a tutte le tentazioni, ci fa pensare al “Ritratto di Dorian Gray” di Wilde, anche se “L’isola di Antas”, come luogo fuori dai limiti spazio-temporali, sembra più una metafora, di quanto non appaia la storia quasi realistica del personaggio di Wilde. Il protagonista della Joffreau è, come lei stessa dichiara, un uomo comune, senza volontà propria o capacità di scelta. Segue l’istinto più che la ragione, anche se lo vediamo avvinto dalla biblioteca che racchiude tutto lo scibile umano. Tuttavia non si direbbe che la scienza gli dia conoscenza e soprattutto assunzione delle proprie responsabilità. “In quel momento era pienamente cosciente della sua predisposizione a lasciarsi trascinare dalle correnti” ci dice l’autrice . Perfino il rapporto col figlio, quasi una possibilità di rinascita , è parzialmente rifiutato da Werner e il bambino (che forse è dentro di lui), non sopravvive. “Se solo lei non mi avesse tentato, io non sarei caduto!” esclama ad un certo punto Werner, come Adamo dopo avere accettato il pomo di Eva. E il finale ci riporta di nuovo ad una parabola biblica, quella del “figliol prodigo”. Dice una vecchia del paese che lo riconosce malgrado il precoce invecchiamento: “Oh sì, sei proprio il nostro Werner; ti eri perduto, ma ora sei tornato !” E in fondo anche per quest’uomo così privo di qualità e di carattere c’è una possibilità di salvezza e l’autrice ci dice infatti: “Trovò in se stesso la forza di salvarsi e fu risparmiato”. Andreina Edmea Bert |
Werner estrasse di tasca un
foglio. Era una lettera. Gliela porse.
J’imagine l’étonnement qui dut être le vôtre au moment où vous rompîtes le sceau cachetant cette missive. Je reconnais bien volontiers que mes armes sont peu connues sur ce continent, et que l’étrange apparence de ce pli a de quoi inquiéter, voire apeurer, une personne a l’esprit étroit. Mais tel n’est pas votre cas, je le sais, et c’est pourquoi j’ai pris la liberté de vous adresser cette missive. Permettez-moi tout d’abord de me présenter. Je suis le Comte d’Antas, Seigneur de l’île du même nom. Certains me nomment l’Empereur des Mers Boréales, d’autres le Maître des Brumes et des Courants; titres que j’accepte bien volontiers, tant il est vrai que seuls ceux que l’alliance des vents et des flux marins ont porté au delà des routes maritimes habituelles ont eu l’honneur de voir se découper, au moment où le soleil de l’aube déchire les brumes de la nuit, les falaises déchiquetées, battues par les embruns, qui protègent l’Ile d’Antas. Je suis le Maître de cette île. Minéraux, plantes, animaux et êtres humains m’ont prêté une allégeance éternelle. Mon pouvoir s’étend sur un domaine sans limites. La réalité des frontières humaines ne s’y applique pas. Etrange concept, je le reconnais bien volontiers, et j’espère que vous aurez loisir de vous y intéresser. J’en viens donc tout naturellement, cher Monsieur Berger, au but de cette missive. L’université de Tübingen est réputée pour son enseignement et la pédagogie de ses Maîtres. Quelque important personnage de cette belle cité m’ayant vanté l’excellence de vos mérites et vos talents de pédagogue, je prends la liberté de vous adresser la proposition que voici. Je souhaite que vous deveniez le précepteur de ma nièce. Votre tâche consistera à lui enseigner les Arts traditionnels ainsi que toute autre matière dont nous aurons par avance convenu. Ma nièce est une créature à l’esprit délié, à l’intelligence vive, et dont la soif de savoir est quasi inextinguible. J’ajoute que mon affection pour elle est immense, et que je tiens à elle plus qu’à ma propre existence. Je vous convie donc à vous rendre sur mon île afin de vous établir dans la suite que je vous ai fait apprêter. Concernant vos gages, et bien que cette question n’entre pas dans le domaine de mes préoccupations habituelles, je vous offre, outre le logis, le couvert et l’agrément que vous trouverez à vivre à Antas, la somme de mille Kreutzer d’or par mois. La durée de l’engagement dépendra de vos talents de précepteur, et du goût que vous prendrez à vivre en notre compagnie. Je vous attends au plus vite. Rendez-vous au port de Lübeck où est amarrée une goëlette, la ’Vague’. Je vous souhaite bon voyage, et vous attends avec impatience. Comte d’Antas” |
Werner e Désirée sull’Ile d’Antas
Illustrazione di Carla Lastoria
Copyright by C. Lastoria 2007
© POJ 1996-2013 | Page Last Updated: 20/05/2013 |