Quando, qualche anno fa, decisi di scrivere una prefazione per Preveggenze, mi trovai di fronte alle prime effettive difficoltà che si incontrano nel passare dalla composizione a una riflessione generale sul significato e sulla portata della poesia e dellarte.
In effetti, rileggendo di recente quella prefazione comparsa su queste pagine nel 1996 non ho potuto fare a meno di provare una certa insoddisfazione per le idee che vi erano espresse, e mi è parso anzi di vedervi riflessa una concezione quasi popolare della poesia, ad esempio nel tentativo di radicarne il significato nella sfera soggettiva della sensazione. Allora avevo ventanni, e nellarco di tempo che è intercorso, pur nel costante rifiuto di una concezione sistematica, le mie idee sulla poesia hanno subito una continua evoluzione. Con il tempo, mi sono in primo luogo dovuto convincere che la poesia non parla di sentimenti, se non in modo del tutto incidentale. Non cè bisogno della poesia per questo: il linguaggio ordinario offre già forme espressive del tutto adeguate per parlare di stati danimo e sensazioni. Perché allora dovremmo farne una caratteristica speciale della poesia, una sua prerogativa? La nota caratteristica della poesia andrà cercata in un altro ordine di fatti. Oggi credo piuttosto che la poesia parli di qualcosa di oggettivo, in un modo in cui il linguaggio ordinario che è il linguaggio nella sua dimensione duso - non può parlarne, confinato comè entro i saldi vincoli che lo regolano. E che lo faccia grazie alluso di forme espressive che nel linguaggio ordinario sono accessibili soltanto in modo potenziale. Si tratterà allora di collocare il linguaggio poetico e il linguaggio ordinario ciascuno allinterno del proprio specifico contesto comunicativo, nel tentativo di rendere conto tanto della continuità che delle differenze che esistono tra questi due diversi impieghi dello stesso linguaggio il linguaggio umano. È in virtù di questo diverso contesto comunicativo che il linguaggio poetico può realmente oltrepassare il linguaggio ordinario, cioè, paradossalmente, oltrepassare il proprio strumento, lunico di cui disponga. E questo può dunque accadere solo perché interviene una diversa modalità di impiego del linguaggio. Le differenze andranno ricercate non, propriamente, nel cosa la poesia possa dire che il linguaggio ordinario non può, ma nel perché, nel come, in virtù di quali meccanismi, possa e debba farlo, in modo, dunque, trasversale. Dobbiamo vedere il linguaggio poetico in contrapposizione a quello ordinario, sul suo sfondo, senza tuttavia perdere di vista la continuità evolutiva che ad esso lo unisce saldamente. Il succinto spazio di questa nuova Prefazione non mi consente di soffermarmi più a lungo su questi temi e sulle soluzioni che ho cercato di proporre in merito, il cui approfondimento devo rimandare ad altra sede. Ma per quello che qui interessa, sono ancora convinto che alcuni esiti della mia prima raccolta restino attuali. Sento tuttora Aspettando lAlba, ad esempio, come una delle mie cose migliori, e ciò proprio in virtù delle considerazioni che ho cercato di esporre. È questo il motivo essenziale per il quale ho sentito lesigenza di scrivere, a distanza di quasi sei anni, una nuova Prefazione. Preveggenze resta cioè, malgrado limpetuosità, la discontinuità e gli eccessi tipici delle opere giovanili, il primo serio approdo della mia attività artistica; attività artistica che considero sempre, nella molteplicità delle sue manifestazioni, come auto - superamento del linguaggio, cioè superamento del linguaggio in virtù dei suoi stessi meccanismi costitutivi. |
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Chi è l'autore?
Pier Paolo Caserta è nato a Roma il 23 aprile 1975, dove ha conseguito la maturità classica e studia Filosofia con futuro indirizzo logico-epistemologico. Leggi l'intervista che ho fatto a Pier Paolo. |
Aspettando l'alba
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