Incontro con Salvatore Scalera

*

Sono nato a Maddaloni, una piccola cittadina del Sud. Il mio cuore, però, non appartiene a questo mondo troppo terreno. Per questo motivo, ogni tanto, ho bisogno di camminare sulle nuvole per sentire il battito degli uccelli. Non ha senso per me parlare d' altro se non di poesia, di aria che entra nei miei polmoni, del sole che mi scalda gli occhi. La necessità della mia poesia nasce già dal mio cuore troppo bambino per arrendersi alla concretezza. Ho bisogno d' amore e "la penna e la carta" mi compensano di tante manchevolezze, di cui spesso ho colpa. Che cosa ho fatto finora nella vita e che lavoro faccio annoierebbe me, immaginiamo gli altri. Se qualcosa di me si vuole capire, basta leggere le poesie che ho scritto, per quanto spesso sembrano vivere di vita propria. L'unica cosa che vorrei dire di me è che sono piuttosto giovane e adulto e che probabilmente un giorno non scriverò più poesie.

*


Dalla silloge "Gli Antichi Pirati"



Le maschere
 
Hai deciso di indossarle
Queste maschere false
Che ti maltrattano il viso
Per sopravvivere a te stesso
E non ti sei accorto
Che te stesso
Sta morendo soffocato
E lo cerchi invano
Tra le pagine di un libro e
Un discorso intellettuale
E lo cerchi invano senza vedere
Che te stesso urla vendetta
Perché sta morendo soffocato
Sotto le tue maledette
Maschere.




Vane speranze
 
Ali bianche e uccelli rapaci si abbracciano
In un saluto ridicolo e si rincorrono
Lungo strade deserte.
Non sembrava così visto da lontano
Un paesaggio di ampie speranze
E di incontestabili ricchezze,
eppure adesso non ci resta che ammettere
che ciò che non abbiamo trovato
ciò che non abbiamo avuto il coraggio di cercare
l’ abbiamo comunque perduto.



Fantasmi
 
Volevo vivere una vita di stenti e nefandezze
senza perciò capire il pianto 
delle streghe.
Il bianco avrei portato e lunghi baffi
d’ acciaio 
armi sotterrate nella coscienza e vive
sensazioni d’ oro
s’ incatenavano tra sé
non perdetti nulla e nulla trovai
se non uno spazio di libertà e sogno.
Volevo vivere una vita di stenti e 
carezze 
non amavo la solitudine, ma di essa
si serviva  la mia anima
per cacciare i fantasmi.




Semplicemente avvilito e forte
 
Di mille parenti neri ed avviliti
lo sguardo di un poeta ti eccita
sai cogliere la perfezione lì
dove essa si nasconde
e guardi il mondo com’è fatto
senza ritegno né preconcetti 
fumi musica a pranzo
e poesia a cena.
La scelta di un destino impavido
ti serve da sentiero nell’ oscurità
di cui bene conosci l’ asprezza
il dolore e la tenacia.
Dietro il tuo sguardo coraggioso
scopro il cuore di un Minotauro
forte attento e deciso
pronto a tutto 
per la verità




Anime
 
Guarderò il silenzio con aria soddisfatta
osserverò il vuoto del cuore per rimpiangere
i mille colori dell’ inferno
e giaccio qui
povero e stretto condottiere
dell’ orrido
e non serve il vostro plauso a conservare
la mia dignità o il mio disprezzo
fisso il cuore e l’ anima delle cose
vedo oltre i muri con cento lingue diverse
buffone e beffarde
le osservo e rido
capisco l’ immensità del tutto
e me ne compiaccio
stolto




Pane
 
E salvaci Dio buono da ogni male
perché noi restiamo qui
al buio e al freddo 
e gridiamo vendetta e sogniamo pane e amore
e salvaci Dio buono che sei in alto nel cielo
salva chi ti è figlio e non chi vuol fare
di te un emblema
e moriamo in silenzio
giorno dopo giorno
in silenzio
e siamo soli
e al freddo
contro un mondo che ci odia
spezza il pane ancora
i tempi sono maturi



Repressa e scalciante
 
Tu credi che il tremore mi coglierà
quando chiuderò gli occhi oltre lo spazio
e la luce
quando il senso di ogni parola sarà rivelato
oltre ogni dubbio ed ogni sapere
io riderò senza rimpianto della vostra sciagura
che fu una vita ignave e silenziosa
nascosta e fugace
repressa e scalciante
io riderò quando i miei occhi si chiuderanno 
il tempo non si ode da lontano
e puoi solo avvertire il fruscio delle mosche
cadere dagli alberi  ed intersecare la morte
tu credi che avrò paura quando l’ ultimo sorriso
verserà sangue sulle mie labbra ed ogni sapore
svanirà dalla mia testa
come un mulo che scalcia il padrone
io ti perdono




Oltre l'orizzonte

Tenebre io vi conosco
attraverso il varco della notte
vi esploro in silenzio e vi temo
quando mi accorgo che intorno a me
c’è un cerchio di fuoco che si stringe
capisco allora che c’è sempre stato
oltre l’ orizzonte
un momento di pace in cui godere
di un’ ingorda solitudine
e amo il sudore della neve che si scioglie
infime nullità senza preavviso
io vi porgo la mano
in cerca di pace 
in cerca di lode




Marina

Sagge parole di diavolo
acque assatanate di sete ed infinite lugubri paure
sentimenti improbi nel crescere
e prati annaffiati di gioia
stantie repressioni regali
tormenti involuti
tutto questo sei tu
ed altro ancora
dietro gli occhi ineffabili
di una fata
mordace e forte
distruttrice ribelle
goduriosa e vinta


*


Dalla silloge "La Crociata dei Poveri"



Un disoccupato

Se non avessero creato i doveri del sangue
Non avrei ora dovuto imparare cosa significa
La fame e la disperazione
Conoscere la vergogna dell’affitto
Non pagato e di una moglie
Crudele e dolce
Che ancora mi chiede il pane
Non è facile arrivare a fine mese
Se non con la speranza che qualcosa cambi
E allora dormi nel tuo letto
Morbido
Dove ancora puoi trovare un momento di pace
E ricordare che sei anche uomo
E che hai occhi per vedere 
Oltre che per piangere
La disperazione di chi fece scelte sbagliate
Non sapendo che nel mondo ci sarebbe stato
Chi avrebbe gettato nel pozzo tutti i suoi sogni
Senza parlare dei miei figli
Giacchè chi giovane chi meno
Mi guardano con pietà
Come a dire che a un pover uomo
Non va fatta giustizia
Se non in caldi pomeriggi di sole
E alcool 
Dove conoscesti il senso vero del sudore
Posticcio
E della sensazione di lutto 
Nel cuore
Avessi saputo che le scelte sbagliate
Portano all’inferno dei vivi e dei reietti
Non avrei goduto di qualche momento di piacere
E di rozza solitudine
Non avrei amato mia moglie e i miei figli
Per altri porti sarei partito
E avrei lavorato in qualche cambusa
A cucinar per i signori 
Veleno a colazione
E fame a cena
Per far conoscere a chi fu più furbo di me 
Il significato dell’arroganza e della falsa ironia
Che cade a pioggia su di me 
E sui miei compagni dannati
Per non aver fatte sempre scelte giuste




Uno scemo

Un giorno credetti di poter vedere le stelle
Non fosse stata altra che notte
La notte
Io l’avrei vista senza i cani che abbaiavano
Alla Luna
La crescente insoddisfazione del mezzo
Di una vita ingorda e senza dubbio nefasta
Volevo solo amare
Ma non mi fu certo concesso
Di abbandonare me stesso per le vostre storie
Senz’altro migliori e meno aride
Sul balcone della mia strada
Ne vidi passare molte di processioni
Le donne scalze con le loro lettere in mano
Dove i loro peccati erano perdonati
Ma non ad uno scemo
Perdoneranno gli errori di una vita felice
Abbracciato a prostitute di colore
E a credere in una politica non proprio di qualcuno
E sbocciavano fiori allegri sulle vie della mia strada
Della mia vita
I fiori allegri di uno scemo
Perché la poesia non seppi mai leggerla
Con i piedi tremolanti sulla sedia che mio nonno
Manteneva a stento e mi guardava
Profondamente felice e soddisfatto
E non seppe mai che nel cuore ebbi segreti profondi
Io che scemo vedevo ancora il mondo
Senza dolore e senza peccato




Dalla silloge “I sogni non devono finire mai”



Verità affogate

E non pensasti che a me quando vedesti il mare sbocciare
Di altre piante carnivore
Pensavi al cielo e ai colori dell’ orizzonte come a fantasmi lontani
Vedevi con chiarezza l’ infinita incertezza del mare
Quando furiosa calava la notte
E sugli scogli si imbrunivano le alghe e i pensieri
Degli amici fraterni
Così guardati altrove oltre le stelle nell’ azzurro di un cielo
Ormai remoto
Ormai spento
Nei tuoi occhi di giovane fanciulla innamorata e sola
Cantavano le anatre nel cielo e non gridasti perdono
Quando sentisti le corde del cuore spezzarsi d’ incanto
Tra le rime di una poesia non giovane e le lame
D’ acciaio che percorrevano il tuo corpo
Io so del tuo dolore antico e non ne presto il pensiero
Ad altri moti
Regalando gioia a chi ne pensò altre
Di paure inesatte e
Di verità inespresse




Del dolore non vedo fine

Paesaggi d’ombre su ignobili ritratti
E false, false, false testimonianze di bene
E pace e amore.
Da quel che posso si intravede un futuro
Di cartapesta e lacrime e tormenti
All’ infinito e poi così tragicamente
Vedo anche la loro fine.
Tragico è perché del dolore posso capire
Un inizio
Intravederne il tormento
Ma non posso chiedermi
Di concepirne la fine



Periferia

E’ bella questa periferia
Piena di luci e colori
Cani e gatti
E piatti vuoti
A pranzo e a cena
È bella questa periferia
Magicamente priva di ogni essenziale
Bisogno
E vuota di tutti i contesti
Bianca sposa e nuda madre
Di ogni generazione
Di stolti



Ossa

E se negli anfratti delle rovine e dei monumenti
Io trovassi nuove musiche d’ Oriente
Se nei tuoi occhi leggessi
Le novità del nostro secolo
Potrei dubitare delle nostre certezze
E vagare a lungo per i campi di sterminio
E sentire urla e gemiti
Canti di bambini e rovine altrui
La disperazione negli occhi e nel cuore
Ed io grido
Urlo vendetta
Al mondo
Per il male tolto ai tempi antichi
E transumati nelle ossa
Degli ebrei



La mia stanza

Una pantofola abbandonata
In un angolo
Nascosta nell’ oscurità
Della stanza
Buia
I quadri appesi non sempre
Dritti
I panni relegati a far
Da mobilia
Il pavimento traballante
Le mura sudice e ormai
Vecchie
Sogni di tempi passati
Quella musica antica
Suona ancora Chopin
Con le sue ballate e
I notturni
Le poesie di Montale
Affianco alla luce
Sul comodino
Il letto sempre sfatto
E la finestra da cui
Entra una luce lieta
Da cui ho visto
Il mondo entrare
E lasciarmi sperare
Di soprassalto
I colombi appoggiati
Al davanzale
Ed io a scrivere
Poesie
E questa musica dolce
Che speravo
Non finisse
Mai
Il mio quaderno



Forse semplicemente un divano

Dove va la mia ricerca affannata e
Dolorosa?
Non capisco più il senso delle mie parole
Come calici d’argento io vivrò
Nuove avventure dolorose
Eppure il cuore piange affrettato
Dai battiti del silenzio
Che si cela nella notte e negli anfratti
Tra le mattonelle rosse e il divano di pelle
Antico monumento alla felicità
Dei miei avi
Un semplice divano di pelle
Io lo tocco
E scopro dietro di me
Tutta la storia umana




Poesia singola



A Luisa

Di altre madri e cieli e galli
Nascosti e sottesi
Furti di tempi antichi
Balli ormai remoti e persi
Timide donne napoletane
Alte e belle e brune
Sottese al futuro cupo
E imminente
Con la loro carne
Giovane e bella
Calda ed elegante
Furba e forte
Tutte le anime degli uomini
Seppero vedervi alte e gioconde
Con le vostre gonne di falso
Pizzo
Camminar per strade nuove
E vicoli notturni
Dove ballate antiche e africane
Spagnole e brasiliane
Scorpioni evidenti e soli
Su spiagge mai conosciute
E perverse
E tristi
E lugubri
E maledette
Ripercussioni del passato
I tempi sono maturi
Si diceva
Ma non più cavalli bianchi
E selvaggi
Non più principi o misteri
Improvvisi
Non più il caldo tepore dei tuoi occhi
Non più i tuoi caldi abbracci
La tua tenera amicizia
I tuoi saluti disperati
Il tuo passato doloroso e forte
Non più la tua carne appesa
Ai miei occhi attenti
Non più la magia di stanze vuote
Non più il dolore di un futuro incerto
E misterioso
Solo il caldo respiro dell’ anima mia
Che ancora ti pensa
E ti ascolta
Ti vede
Sola e indifesa
In letti altrui
E indecisi
Cattivo riporto della storia
Capita di rivedersi ancora
Leggiadra dea e ninfa
Donne come te ormai
Scompaiono
Partono per mondi nuovi
Vissuti
Di fiabe romantiche
Dove solo unicorni e
Principesse
Vivono
Tra gli alberi affettuosi
Non più il candore dei tuoi capelli
Delle tue guance
Dei tuoi desideri
Infami
Non più la speranza
Di rivederti
Come allora
Ma nuova
E più donna
Più bruna
Ma non mia
Luisa

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