Dalla rubrica "Arte-Voci Negate" della E-zine "Vuoto Negativo" del sito
Arsnova-Associazione Culturale Telematica, bimestre maggio/giugno 1997.
Luigi, come inquadreresti il genere poliziesco nel panorama letterario?
E' fin troppo nota la distinzione operata fra "letteratura d'espressione" e "letteratura d'evasione". Il romanzo giallo, si è detto, non approderà mai alle sublimi vette della letteratura proprio perché rappresenterebbe la tipica "letteratura d'evasione".
Io credo che questa distinzione sia puramente terminologica e astratta, perché se fosse reale, quanto più grandioso è tema, tanto più grandioso dovrebbe essere lo svolgimento. E invece, su temi grandiosi sono stati scritti libri noiosissimi.
La verità è che tutto quel che si legge per il proprio piacere, si tratti di religione, scienza, matematica o politica, costituisce evasione.
Per quel che riguarda il genere del romanzo giallo non si può fare a meno di rilevare una peculiarità che, probabilmente, appartiene ai grandi capolavori della letteratura. La narrativa poliziesca, quasi sempre, sopravvive alla maggioranza dei romanzi di successo d'altro genere che muoiono nel giro di una stagione editoriale. Il giallo, invece, per così dire, non passa mai di moda.
E' sufficiente contare il numero di ristampe che invadono il mercato. La ragione di questo successo non è di facile spiegazione e richiederebbe un'analisi più approfondita. In sintesi si può dire che il romanzo poliziesco è stato sin dalle origini un genere di letteratura prettamente borghese. Le storie non si sviluppano, come nei romanzi d'appendice, nei bassifondi delle città, ma in ambienti "bene"; i delitti non si consumano con atti di selvaggia violenza, ma i corpi delle vittime cadono su morbidi tappeti della biblioteca privata, dello studiolo, del salottino.
E, secondo lo schema classico, da una parte c'è il colpevole e dall'altra l'investigatore che fa giustizia. La società (impersonata dai lettori) è appagata e rassicurata quando il male è sconfitto e l'ordine è ristabilito.
Tuttavia, a ben vedere, la letteratura poliziesca è percorsa da un sottile pessimismo, perché in essa emergono sempre la precarietà, l'inganno, il rischio, allontanati e sconfitti da un eroe, il detective, che riesce a dissipare il mistero. E si orienta in direzione anticonformistica, come autocritica, smascherando la malafede serpeggiante nel seno della borghesia e le ipocrisie consacrate formalmente nei ruoli sociali.
Puoi desciverci la tecnica narrativa del romanzo giallo?
Sotto il profilo narrativo lo schema del romanzo poliziesco classico si
basa sulla triade mistero-indagine-soluzione finale.
Il racconto, naturalmente, si sviluppa con rigore metodologico attraverso
una concatenazione necessaria di eventi che troveranno la loro giusta
collocazione in un quadro unitario e coerente.
La presenza della vittima non ha lo scopo di produrre indignazione o
condanna o di introdurre il gusto del macabro. Non serve, insomma, come
argomento per sostenere l'immoralità o l'amoralità dell'evento. Rappresenta solo la garanzia del rigore metodologico con cui si sviluppa il racconto. Il suo significato non è di carattere etico, ma logico. E' il postulato per l'investigazione del poliziotto.
Il tema del romanzo poliziesco, infatti, non è l'omicidio ma l'enigma.
Nella costruzione di un romanzo piliziesco lo scrittore deve dare prova di fair play nei confronti del lettore.
La gara intellettuale si svolge a due livelli:
1.- da una parte fra il detective e il criminale;
2.- dall'altra tra l'autore e il lettore.
In queste due battaglie, il mistero risiede nell'identità del colpevole che il detective, proprio come il lettore, è condotto a scoprire attraverso un esame sistematico degli indizi.
Ma mentre l'investigatore riesce sempre nella soluzione, il lettore non deve
sopravanzare l'autore. Altrimenti il bisogno psicologico a cui il romanzo
dovrebbe rispondere (e cioè la tensione, la suspense, la soluzione
sorprendente) non viene soddisfatto.
L'arte del romanzo poliziesco consiste, appunto, nel raggiungere questi scopi
senza trucchi. Tutti gli indizi devono essere mostrati. Ad esempio non è
consentita la sostituzione di due gemelli o il passaggio segreto che
consente di uscire da stanze chiuse a chiave ecc.
Il tuo romanzo è stato definito dalla critica "un giallo all'italiana". Oltre all'ambientazione, potresti spiegarci quali sono le caratteristiche di questo genere di romanzo poliziesco?
Umberto Saba disse una volta che "il bel canto è italiano, il
cinematografo americano, il romanzo poliziesco inglese".
In effetti il genere giallo si è imposto in Italia a partire dagli anni
trenta, un po' in ritardo rispetto alle altre nazioni dell'Europa
Occidentale e degli Stati Uniti.
E gli scrittori del genere, per un lungo periodo, sono sempre stati
condizionati da questa circostanza sia per un naturale senso di imitazione
sia per imporsi al pubblico dei lettori che già avevano avuto modo di
apprezzare il poliziesco degli autori stranieri. Tanto che ancora fino agli
anni '50-'60 gli scrittori italiani avevano la diffusa abitudine di celarsi
dietro uno pseudonimo straniero.
Per questo trovo qualche difficoltà ad individuare un genere poliziesco
italiano ben delineato. Posso solo dire che i romanzi gialli italiani hanno
spesso avuto contenuti sociali e che l'investigatore difficilmente viene
rappresentato come il superuomo invincibile e onnipotente che conosciamo nel
genere anglosassone.
Negli ultimi anni il giallo italiano si è tinto di contenuti realistici
fuoriuscendo dallo schema classico in cui la scena del delitto era
rappresentata dall'ambiente borghese e trasportando il delitto nella società attuale fatta di sequestri, rapimenti, traffici di droga e mafia.
Ma io credo che questo tipo di letteratura sia qualcosa di diverso.
In conclusione vorrei ricordare, a titolo di curiosità, che l'espressione idiomatica "libro giallo", come sinonimo di romanzo poliziesco, è tipicamente italiana e risale alla consuetudine degli editori di un tempo di differenziare le collane in relazione al colore dominante sulla copertina.
Al romanzo poliziesco fu attribuito il colore giallo che ben presto divenne
identificativo del genere.
E vorrei anche ricordare che il termine inglese "detection" invalso in quasi tutte le lingue europee e che indica il metodo seguito dal detetive, deriva dal latino "detergere" che significa "scoprire".
Si è detto del protagonista di "Analisi Finale", l'investigatore Marco Bolchi, che non è né raffinato, né freddo come Poirot, né svelto con la P.38 e dinamico come Marlowe: è l'anti-eroe per eccellenza... infatti, proprio all'inizio del romanzo, vediamo che commette alcune imprudenze. Ci parleresti un po' di lui? Il commento di Laura Grimaldi, che figura in quarta di copertina, suggerisce che in questo personaggio vi siano anche elementi autobiografici...
Marco Bolchi, il protagonista del romanzo, è un giovane e brillante laureato in giurisprudenza che ad un certo punto della sua vita preferisce affrontare la vita emozionante ed incerta dell'investigatore privato piuttosto che percorrere la strada meno insidiosa e più remunerativa della professione legale.
La sua non è una scelta dettata da un atteggiamento disinvolto nei
confronti della vita o da una convinzione assoluta o, peggio, fanatica, ma
anzi motivata proprio dalle incertezze che attanagliano tutti al termine
degli studi. Una scelta che egli è sempre pronto a mettere in discussione, a ripensare.
Bolchi è una persona assolutamente normale, che vive la sua esistenza in
modo normale, vivendo situazioni che possono capitare a chiunque.
E' stato innamorato ed è stato tradito, il lavoro non lo soddisfa, deve fare i conti con le sue risorse finanziarie, alla domenica ascolta le partite
alla radio, si lascia travolgere e sconvolgere da situazioni inattese, ha
bisogno, come tutti, di sentirsi amato. E' una persona onesta e leale, che mai
sacrificherebbe gli altri per il proprio interesse. In una parola, è una
persona giusta.
Per quel che riguarda l'elemento autobiografico che è stato individuato nel romanzo, credo che sia inevitabile che l'autore costruisca i suoi personaggi (e ancor più il personaggio principale) attingendo al fondo della propria personalità. Ovviamente nessuno dei personaggi è esattamente come l'autore, ma in tutti c'è qualcosa di lui.
Veniamo ora alla vittima, Esther Windell: "una donna con un oscuro
passato alle spalle, coinvolta in un giro di ricatti e speculazioni". Di
lei si ricavano impressioni ora negative, in quanto appare ambiziosa, avida
e spietata; ora positive, nell'autentico sentimento di amicizia che la lega
a Joan. Una psicologia complessa, la sua, che talvolta disorienta il
lettore...
Non credo che esista una personalità monovalente. Tutti, al nostro interno, presentiamo elementi di contrasto che poi, per motivi spesso indipendenti dalla nostra volontà, prendono o meno il sopravvento.
Alla fine del romanzo sono offerti gli strumenti per capire la complessa
personalità di Esther Windell. La donna ha avuto un'infanzia difficile e
precaria, è stata privata degli affetti, non ha avuto nessun punto di
riferimento. La sua crescita è stata condizionata in parte dalla macanza di sicurezza e in parte dalla assoluta carenza d'amore.
E così nella sua vita ha cercato sicurezza, a costo di mettere da parte ogni scrupolo, e amore in un rapporto pulito e disinteressato come poteva essere l'amicizia per una collega di lavoro.
In una recensione, apparsa su un quotidiano, si dice che " Analisi
Finale" è ambientato nella più meridionale e nella più italiana delle nostre città: Napoli. Vorresti parlarci di questa città che tu conosci molto bene? Per quale motivo viene definita "la più meridionale" e, soprattutto, perché " la più italiana"?
Napoli è una città che amo e che mi riesce difficile descrivere senza rischiare di cadere nei soliti luoghi comuni. Per conoscerla bisogna viverla. Posso dire che la città incarna pregi e difetti dell'Italia e degli Italiani per come sono conosciuti all'estero: un po' indolenti, fantasiosi, amabili. Napoli è la città in cui la voglia di vivere e la gioia stessa dell'esistenza sopravanza i drammi sociali, le difficoltà nelle quali si dibatte tutto il Sud d'Italia, la criminalità che spesso spadroneggia, la disoccupazione, ecc. E' una città caotica e allegra, calda e accogliente, dove nessuno può sentirsi solo. Ma è anche la città che sa reagire alle contrarietà, che rimboccandosi le maniche e lavorando sodo sa rinascere sulle proprie macerie. Pizze e mandolini sono ormai solo richiami per turisti che non amano andare al fondo delle cose.
"Analisi Finale" è la tua opera prima?
Sì, Analisi Finale è il mio primo romanzo. E mi aspetto che per questo motivo i lettori perdoneranno qualche debolezza nella struttura narrativa e qualche ingenuità.
Luigi, quali critiche muoveresti al tuo romanzo?
In primo luogo credo che avrei potuto e dovuto approfondire maggiormente gli
aspetti psicologici di alcuni personaggi.
Inoltre ho trascurato di rilevare fatti e situazioni legati alla città. E, se per un verso questa è una colpa imperdonabile, poiché una città come Napoli con tutte le sue contraddizioni offre spunti praticamente illimitati, trovo una giustificazione nell'esigenza di concentrare la narrazione solamente sul racconto poliziesco per mantenere nel lettore la giusta tensione.
La struttura del romanzo, poi, è forse troppo essenziale e semplificata in una narrazione di eventi disposti in ordine rigidamente cronologico e
lineare. Ma non è semplice scrivere in prima persona. Scegliere che il
protoganista resti sempre l'io narrante rischia di sacrificare gli altri
personaggi i cui aspetti non possono che emergere solo attraverso situazioni
che lo stesso protagonista registra e interpreta.
Quali ritieni invece siano i suoi pregi?
E' una domanda che mi mette un po' in difficoltà. Parto dalla considerazione che il romanzo ha sostanzialmente incontrato il gusto dei lettori e cerco di individuarne i pregi nella storia, che mi sembra accettabile, e nella varietà delle tematiche che pure sono state individuate in alcune recensioni.
Il romanzo, poi, ripercorre le linee del giallo classico e, per quanto mi è stato riferito, è piacevole da leggere.
Insomma, credo che conceda al lettore qualche ora di svago.
Nello scorso numero di questa rubrica è stata nostra ospite una
scrittrice di romanzi gialli: Eleonora Heger Vita. Vorrei porti la stessa
domanda che le ho rivolto: come vedi l'evoluzione del genere della
detective story? Che cosa è cambiato dai tempi di "The Murders in the Rue Morgue" e di "The Mystery of Mary Roget"?
Ernest Mandel, teorico e dirigente dell'ultima internazionale marxista, ha
scritto un libro, "Delitti per diletto", in cui ripercorre la storia sociale del romanzo poliziesco.
Sostiene Mandel che il giallo sia un prodotto tipico della società
industriale capitalistica.
Io penso che, pur senza discostarsi dalla impostazione assolutamente
razionale di Mandel, il romanzo poliziesco, come ogni genere letterario, sia
caratterizzato dalla fantasia, tanto che le opere dei padri fondatori del
genere, primo fra tutti Edgar Allan Poe, furono fortemente caratterizzate da
elementi irrazionali come il soprannaturale.
Ma è pur vero che il legame fra il mondo fantastico e il momento storico
sociale è, nel romanzo giallo, fortissimo.
E l'evoluzione, a mio parere, è proprio nella progressiva maggiore valenza dell'elemento realistico sull'elemento fantastico.
Il crimine, insomma, smette di essere un fatto puramente privato e diventa
un fatto di interesse pubblico. Il criminale diventa sulla carta ciò che è nella realtà, parla il linguaggio che adopera ogni giorno. E l'assassinio è commesso per delle ragioni precise e non solo per offrire lo spunto su cui costruire un racconto.
Quale, fra gli scrittori di romanzi gialli, considereresti il tuo maestro?
In senso assoluto un maestro del genere è sicuramente Raymond Chandler,
perché è fra i pochi che sia riuscito a contemperare l'arte dello scrivere, la fervida immaginazione e un impianto narrativo sempre rigoroso.
Chi vuole accostarsi al romanzo poliziesco non può prescindere da veri e
propri capolavori come "The Big Sleep".
Come trovi i gialli di Agatha Christie? Quale, fra gli investigatori da
lei creati è, secondo te, il più riuscito?
Agatha Christie è stata una scrittrice estremamente prolifica e, quindi, è inevitabile che tra le sue opere si trovino romanzi capolavoro e scritti meno riusciti. E' innegabile però che i suoi romanzi presentino elementi di novità.
Non si serve del detective invulnerabile che illude il lettore facendogli
credere che un solo individuo è in grado con i propri mezzi di liberare la società dal male e dal crimine.
I suoi protagonisti sono ometti apparentemente innocui che fanno "lavorare
le cellule grige" come Poirot o vecchiette arzille come Miss Marple che si
rivelano in realtà terribili.
Il romanzo di Agatha Christie che preferisco è però "Dieci piccoli indiani", che rappresenta una variante al tema della cosiddetta "camera chiusa", di cui la scrittrice è stata una maestra. E' un romanzo particolare, in cui non figura alcun detective e in cui emerge uno straordinario spaccato dei rapporti umani.
Che cosa pensi del romanzo di Peter Hoeg: "Il senso di Smilla per la
neve", che ha riscosso un grandissimo successo e dal quale è stato
recentemente anche tratto un film?
Ho letto con autentico piacere il romanzo di Peter Hoeg perché mi ha
proiettato in un'ambientazione del tutto sconosciuta. Sono stato
letteralmente catturato dalla narrazione, dallo stile, dal livello di
suspense, dalla figura di Smilla, così dolce e ostinata.
Ritieni che in Italia vi siano scrittori di romanzi gialli di un certo
rilievo?
So che c'è tutta una fioritura del romanzo poliziesco fra gli scrittori
italiani e soprattutto fra i giovani.
Ma lo scrittore che considero il maggiore esponente in Italia del genere
resta Giorgio Scerbanenco.
Vorrei anche ricordare Laura Grimaldi, che oltre a scrivere ottimi romanzi ha
curato per lungo tempo la collana editoriale "Interno Giallo", offrendo al pubblico degli appassionati l'opportunità di conoscere scrittori di qualità.
Una notazione speciale merita poi Umberto Eco. Il "Nome della rosa" è un romanzo che, come tutti i grandi capolavori, consente diversi livelli di lettura. Ma resta, fra le altre cose, un romanzo giallo fra i più letti degli ultimi anni.
Luigi, so che ora stai scrivendo un altro libro che tu stesso ritieni
più impegnativo. Vorresti parlarcene? Si tratta di un romanzo poliziesco?
Il nuovo libro di cui ho appena terminato l'ultima stesura si intitola
"Processo indiziario" e racconta la vicenda processuale di una donna
accusata di aver assassinato il marito. Non è propriamente un romanzo
poliziesco. Direi che percorre le linee del "legal thriller", con un
impianto narrativo abbastanza complesso. Ha anche qualche ambizione, per
così dire, didattica, nel senso che guida il lettore, spesso confuso da
riferimenti anglosassoni, all'interno delle procedure giuridiche italiane e
gli fa conoscere come in effetti funziona il nostro sistema giudiziario.
L'esperienza del primo libro mi è servita molto, perché ho avuto maggiore attenzione per i personaggi e le situazioni.
Con quale casa editrice vorresti pubblicarlo?
Qualsiasi opera che vede la luce deve, nell'immediatezza, affrontare due
problemi: la distribuzione e il lancio.
E' evidente che maggiore è la casa editrice, maggiori sono le possibilità che il libro ha di imporsi all'attenzione dei lettori.
Tuttavia esistono case editrici minori che curano con particolare impegno la
diffusione dell'opera.
Mi piacerebbe che il libro fosse pubblicato da uno di questi piccoli editori
che poi non abbandonano l'autore a se stesso e che ancora credono nel valore
del libro come opera dell'ingegno e non come prodotto esclusivamente commerciale.
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